Il Punto di vista

Riflessioni sull’attualità e non solo di Giorgio Bert


La parola e la cura, storia di un luogo

Questo spazio, Punti di vista, all’interno del nuovo formato on line di La parola e la cura, rivista/blog progettata insieme a Massimo Giuliani, doveva essere la stanza di Giorgio. Un luogo in cui incontrarlo, e in cui lui poteva invitarci a entrare incoraggiandoci a pensare insieme a lui, a confrontarci, a riflettere in quel modo non convenzionale che gli apparteneva.

Di luoghi Giorgio aveva bisogno: solitario e quasi ombroso, con una tendenza a sottrarsi e a non imporsi, aveva contemporaneamente l’esigenza di trovare risonanze, di scoprire vicinanze ma non necessariamente somiglianze o peggio ancora facili consensi. Era quello che lui chiamava “incontri polifonici”: luoghi di incontro fra pensieri anche diversi ma franchi, diretti, non compiacenti o ossequienti.

Alcuni di quei luoghi li ha incontrati, altri ne ha costruiti. E’ stato un luogo il movimento degli studenti di medicina degli anni ‘70, a cui ha partecipato senza abdicare al proprio ruolo di docente: il suo non era uno schierarsi acritico “dalla parte” degli studenti, ma la convinzione che da quel movimento potesse partire un reale cambiamento nel modo di insegnare e di curare. Come scriveva in un post su FB  “ gli studenti iniziarono a mettere sotto processo tutto il sistema didattico, scientifico e clinico. Mi viene da dire che non fummo noi docenti i “cattivi maestri” ma  furono loro buoni maestri nei nostri confronti, nel senso che contribuirono a coinvolgere alcuni (non molti per la verità) di noi nella critica al sistema di cui eravamo elementi.” Lo faceva ancora sorridere l’accusa, per cui fu processato nel ’74, di avere “sposato” le idee degli studenti. Lui che di idee non ne ha sposate mai: le ha frequentate, apprezzate o criticate, ridiscusse, reinventate. Era questo che lo rendeva così provocatorio, ma anche così stimolante.
Erano quelli i suoi luoghi: luoghi di incontro critico, di connessione di saperi e di culture. Dall’incontro con  Giulio Maccacaro sono nati luoghi che sono diventati storia, la redazione di Sapere, di Epidemiologia e Prevenzione, e poi la collana Medicina e Potere, che di recente è stata resa interamente disponibile in rete .
Credo che si debba a Maccacaro l’avere sottratto per la prima volta Giorgio alla sua ritrosia – che non molti conoscono -  nel comparire, nell’esporsi pubblicamente: il libro che tanti hanno letto con passione e che ha indirizzato più di uno studente a una visione critica della medicina , Il medico immaginario e il malato per forza, nasce dalle insistenze di Giulio, che avvertiva il fascino del pensiero poliedrico e della ricchezza culturale di Giorgio e ne vedeva tutte le potenzialità in un momento fertile come quello degli anni ’70. Giorgio ripeteva spesso la sua battuta, fra l’ironico e l’ammirato, sulla quantità di note bibliografiche con cui   aveva completato il suo testo: forse facevi prima a scrivere tutto il libro in nota…
E’ impressionante scoprire, nel tamburino di quelle riviste – Sapere, Epidemiologia e prevenzione, e poi SE, Scienza Esperienza- i nomi di persone che hanno segnato la storia della psichiatria, dell’epidemiologia, della medicina sociale, dell’ambientalismo:
Franco Basaglia, Giovanni CesareoMarcello Cini, Giovanni Jervis, Paola Manacorda, Franca Ongaro, Benedetto Terracini,  Gianni Tognoni, Luigi Mara…
Le redazioni di quelle riviste avevano tutte la caratteristiche dei luoghi che Giorgio amava, la ricchezza e la diversità dei pensieri, la progettualità a volte conflittuale ma mai escludente, l’ideologia rigorosa ma mai rigida. Sono contenta di avere condiviso con lui gli ultimi anni in cui quei luoghi hanno vissuto la loro vita fervida e intensa. 
L’incontro con Carlo Petrini lo ha portato a vivere e condividere la nascita di un altro luogo solo apparentemente lontano dalle sue strade abituali. Avevamo appena pubblicato Guadagnarsi la salute, un libro fra il critico e l’ironico sulla concezione di educazione sanitaria come minaccia e condanna e di educazione alimentare come rinuncia e sacrificio. Carlo stava trasformando l’esperienza di Arcigola in qualcosa di più completo e complesso, con un contenuto ideologico più strutturato e più articolato, in cui alla valorizzazione della cultura enogastronomica del territorio si unisse a una filosofia della scelta attenta e consapevole di ciò che si mangia, della sua provenienza, dei suoi costi ambientali e umani. Nelle stanze di via della Mendicità Istruita a Bra è nato Slow Food, e sono nate amicizie profonde, con Carlo, Silvio Barbero, Folco Portinari e i tanti amici di quegli anni. E siccome i buoni luoghi creano buoni incontri, nelle avventure in Langa organizzate da Slow Food è nato anche l’incontro con un amico come Luca De Fiore, nostro editore da allora.

L’Università non gli è mai stata congeniale, o forse lui non era congeniale all’Università: dopo la critica senza risparmio rivolta al sistema accademico con il Medico immaginario quello spazio gli è diventato sempre più estraneo. Ma eravamo in tanti a dirgli che  la sua ricchezza culturale, la sua fertilità innovativa, la sua capacità di stimolare il pensiero degli altri senza imporre il suo ne facevano un docente ideale, e che tenerle per sé significava sottrarre a tanti, giovani e meno giovani, occasioni ed esperienze di arricchimento e di sviluppo personale irripetibili.
Il “luogo” CHANGE è nato da quelle insistenze, e dall’intensificarsi del suo interesse per gli aspetti della comunicazione nella relazione di cura. La visione sistemica faceva già parte della suo modo di leggere la realtà, ma più da un punto di vista filosofico ed epistemologico. CHANGE lo ha un po’ trascinato in uno spazio meno familiare e meno facile per lui, quello della complessità delle relazioni. Ne è stato prima incuriosito poi affascinato, e come sempre ha portato anche in quell’ambito un pensiero innovativo, una capacità di non  seguire  linee già tracciate, di dissentire e di ampliare. Tutti gli allievi lo ricordano come un docente inabituale, capace di suscitare dubbi invece che distribuire dogmi e certezze, e gli sono riconoscenti per queste esperienze inattese.
L’esigenza sempre presente di raccogliere altre voci, di mettere in connessione altri saperi e diffonderli, ha dato vita al primo luogo intitolato La parola e la cura: la rivista, che Giorgio ha molto voluto perché, diceva, CHANGE non deve essere solo un luogo di insegnamento della comunicazione e del counselling ma anche un luogo di cultura e di riflessione su tutti i significati e gli aspetti della cura. 
I titoli di ciascuno dei numeri della rivista, che è uscita in forma di monografia semestrale dal 2003 al 2016, danno un’idea dell’ampiezza di quello che Giorgio intendeva per riflessione sulla cura: per citarne solo alcuni, Il vero il falso il forse, sul tema della verità scientifica; O il piacere o la vita, sul tema della buona e cattiva educazione alimentare; Il rischio di parlare di rischio; L’etica quotidiana della cura. Aveva la capacità di coinvolgere nella composizione di ogni numero della rivista collaboratori di altissimo livello, che hanno fatto di La parola e la cura un piccolo tesoro di contributi che cercheremo di far rivivere nello spazio “La scatola magica” di questa rivista.
Quella ricchezza si è rivelata a un certo punto troppo costosa da sostenere, sul piano strettamente economico, per una cooperativa onlus come CHANGE. Nel 2016 Giorgio ha dovuto rassegnarsi alla chiusura.
Più o meno nello stesso periodo gli è stato chiuso un altro spazio, in cui aveva creduto profondamente e in cui aveva dispensato senza risparmio energie, tempo, stimoli e proposte. La chiusura è avvenuta proprio nel momento in cui stava  prendendo forma progettuale una riflessione che elaborava da tempo, legata forse anche al suo momento di vita, alla presa di contatto con la perdita di forze e di funzionalità che l’invecchiamento gli stava riservando. Quello che stava cercando di diffondere era la possibilità di coltivare quello che resta della salute della persona in qualsiasi momento della sua vita: anche nella vecchiaia; anche nella malattia. E’ molto triste dover dire che è proprio quello che non è avvenuto per lui nella sua malattia, almeno fino a che non abbiamo deciso di coltivare la sua salute nelle sue ultime settimane, in casa. Con la musica, la lettura, la compagnia del suo cane, i cibi che amava di cui riusciva ad assaggiare qualche cucchiaino.
La cura del cibo in ospedale, l’attenzione alla qualità della vita nella malattia cronica, la cura nell’accompagnare il paziente e i famigliari nelle decisioni nei diversi momenti della malattia, erano i primi progetti concreti che stavano prendendo forma a partire dallo slogan “Coltiviamo la salute” e dalla definizione che ne dava Giorgio:  “la salute non è uno stato che si conquista o si perde, ma un’oscillazione fra momenti di benessere e momenti di malessere, su cui agiscono aspetti biologici, psichici, spirituali, sociali, ambientali. Coltivare la salute significa attivare e sostenere le risorse della persona per spostare l’oscillazione nella direzione del maggiore benessere possibile in quella condizione e in quel momento”. LEGGI ARTICOLO
La  chiusura di quegli spazi  e il disinteresse per quei progetti hanno riattivato, in quegli anni, la sua ritrosia nel rimettersi in gioco, il suo strano pudore nell’esporre il suo pensiero. Troppe volte lo abbiamo sentito ripetere “a chi vuoi che importi quello che penso”. Il luogo La parola e la cura come pagina FB è il risultato dell’insistenza dei tanti amici veri, che gli hanno ripetuto che non poteva imporci il suo silenzio; che hanno risposto alle sue prime domande sulla quella pagina , che hanno commentato le sue riflessioni, che non si sono limitati ai like che lui detestava abbastanza: “ Non mi importa che quello che scrivo piaccia, voglio sapere a cosa fa pensare”, diceva.
Quella pagina è stata una ricchezza per tutti; anche per lui. Molti ci chiedono di non lasciar disperdere i pensieri che hanno circolato su quella pagina. Cercheremo di farlo, non per creare un piccolo museo statico del suo pensiero, ma per stimolare altre riflessioni; non per calpestare i suoi passi ma per ripartire con passi nuovi. Per questo il convegno del 28 maggio in cui lo ricorderemo avrà come titolo “Non chiamatemi maestro”: perché non dobbiamo accontentarci di quello che ci ha insegnato ma dobbiamo farlo vivere e crescere. Anche arricchendo di contributi e riflessioni questa rivista: è questo contributo attivo che chiediamo a tutti anche a nome di Giorgio.

A proposito di passi: i suoi maglioni più caldi, le sciarpe, le calze colorate che tanto amava sono arrivati al Presidio della Val di Susa, per i migranti che tentano il passaggio verso la Francia. Riscalderanno e conforteranno  i passi di uomini e donne, ragazzi e ragazze venuti da lontano in  quel cammino di speranza .


Tags: G.Bert, Il punto di vista, S.Quadrino


Contatti

Istituto CHANGE
Via Valperga Caluso 32 - 10125 Torino
011 6680706
Contattaci



Redazione:

DIRETTORE: Giorgio BERT

COMITATO DI REDAZIONE: Silvana QUADRINO, Massimo GIULIANI


Politica sulla Privacy


We use cookies

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.