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Le cose che non ti ho detto

regia di William Nicholson ,2020

Recensione di Caterina Schiavon

Chi si ritrae e chi invade rumorosamente gli spazi e i tempi lasciati liberi dai silenzi dell’altro.
Un gioco che riflette l’infelicità derivante dai dogmi.
Un tavolo buttato all’aria come metafora del rovesciamento che rompe l’equilibrio tenuto in piedi dall’insoddisfazione colpevolizzante e dolorosa. Un figlio.
Il valore fondamentale della scrittura e della poesia: bugiardo e sincero al contempo.

La storia

Una trama semplice, ma capace  di attivare in chi guarda al contempo fastidio, pena, empatia, rifiuto, accettazione verso i personaggi; che trascina lo spettatore a porsi domande sul valore delle relazioni, sulla capacità di costruirle disinnescando blocchi e fissità e/o sul coraggio di accettarne la fine accogliendone l’insegnamento.
E’ la storia del fallimento di un matrimonio durato quasi trent’anni, con  il figlio della coppia chiamato a testimone della fine. La messa in scena dell’accanirsi sull’altro, distruggendo in realtà soprattutto sé stessi.
Lei è  una donna richiedente e invasiva, che provoca il partner pretendendo una relazione vivace, vitaminica e soprattutto diversa.
Lui è un uomo non certo esuberante che si sente attaccato e si ritrae sempre di più fino a ridursi  a una inespressiva maschera di gesso che si esprime solo più a monosillabi e mai per propria iniziativa.
Dalla minaccia continua e gridata di mettere fine a una relazione insoddisfacente da parte di lei si passa alla decisione di lui di abbandonare da un giorno all’altro moglie e casa . Una sentenza inappellabile comunicata in tono monocorde e sguardo inespressivo (una valigia già pronta, un’altra donna che attende in auto per condurlo ad abitare con lei).
Ed ecco la reazione nevrotica e devastante della moglie che non accetta quanto aveva sempre minacciato,e il suo sprofondare negli abissi di una depressione che alterna speranze, deliri, violenza, momenti di catatonia. Il figlio giovane, che non vive con i genitori, viene chiamato dal padre per aiutare la madre a superare lo shock dell’abbandono.

I protagonisti

Protagonisti, oltre al panorama mozzafiato e a tratti inquietante di mare e vertiginose scogliere candide, non sono  solo la coppia con il suo sfacelo ma anche il figlio che compie un percorso di crescita doloroso ma necessario.
Jamie, che per sua stessa ammissione sembra inizialmente somigliare ai genitori nei loro lati peggiori, capisce di essere un importante elemento del sistema familiare e decide di farsi carico del suo ruolo non solo per aiutare i genitori ma soprattutto per affrontare il problema della sua incapacità nel vivere situazioni sentimentali soddisfacenti.
Si metterà in ascolto tanto del padre come della madre rendendosi conto di non averlo mai fatto prima e, mano a mano che i genitori prenderanno il coraggio di sciogliere i lacci di un legame mortifero, maturerà non più nella fuga ma nella consapevolezza: nell’uscire di casa per sottrarsi alle incomprensioni familiari era infatti rimasto ingabbiato nella condizione di ‘figlio epigono’ degli errori genitoriali e incapace di vedersi come uomo adulto in grado di cambiare un destino ereditario che pareva fino a quel momento inevitabile

Grace è una donna caratterizzata da up e down emotivi sconcertanti. Insoddisfatta del rapporto con il marito minaccia di continuo di lasciarlo dichiarandosi falsamente convinta che forse si tratterebbe della soluzione più razionale, che permetterebbe ad entrambi di rifarsi una vita con persone più adatte a loro. È un ingenuo e soprattutto inefficace tentativo di provocare una reazione partecipativa del marito il quale si richiude sempre di più in un mutismo irritante e impassibile. È una donna debole e solo apparentemente forte che nel suo bisogno spasmodico di essere di continuo rassicurata ha bisogno di confini certi, di manifestazioni tangibili e di adesioni incondizionate alle sue proposte. Dichiara di non voler accettare la decisione della separazione e cerca di bloccare il marito ricordandogli i doveri dell’indissolubile legame matrimoniale. Si dice convinta che attraverso l’impegno di entrambi le cose si potranno e dovranno aggiustare. È insopportabile e affascinante nella sua incoerenza travolgente che tocca punte di lirismo e di ironia (non firma le carte per il divorzio perché in caso di vedovanza usufruirà della pensione e chiama un consolatorio cucciolo di cane con il nome del marito per poterlo addestrare ad essere esattamente come lei desidera).

Edward è un uomo meticoloso, abitudinario, in apparenza debole che per anni si è rassegnato a sentirsi sbagliato e sempre nel torto nei confronti di una donna che non lo accetta per quello che è. Il suo volto rimane bloccato in una sorta di impassibilità indifferente. Mantiene un’unica espressione davanti al tentativo di un abbraccio, alla rabbia della moglie che rovescia il tavolo di cucina producendo un rumore assordante. Resta impassibile e con gli occhi chini mentre comunica la decisione che se ne andrà da lì a pochi minuti perché da un anno ama una donna che non gli chiede di essere un altro; si incammina fuori di casa per non tornarvi mai più con andatura mesta e robotica appesantita da una grande valigia rigida semivuota.

È un insegnante che vediamo intento a leggere ai suoi allievi brani tratti dal racconto della disastrosa ritirata di Russia. La ritirata diviene la metafora della sconfitta e della fuga dal campo di battaglia del suo matrimonio. Edward si convince, pur dolendosene, che la sua decisione non può essere incrinata da ripensamenti e compassione perché nella spietata lotta per la sopravvivenza, la vita di alcuni dipende dalla morte (reale o simbolica) di altri. Come in Russia i feriti vengono sbalzati fuori dai carri per permettere agli altri di fuggire più velocemente, così lui non permetterà che il dolore della moglie sia da impedimento al suo progetto di vita. Angela, nomen omen, la compagna per la nuova vita, è un ‘angelo’ sentenziatore di poche ma certe parole e di gesti misurati, giusto l’opposto insomma di Grace.

Il valore della parola scritta

Ma oltre alle piaghe di un sistema familiare malfunzionante, il film affronta anche il tema della funzione della parola scritta sia essa in prosa o poesia; una funzione che cambia a seconda del punto di vista, dell’uso che ne viene fatto, del momento in cui viene chiamata in causa.

Alcuni esempi.

Grace e Edward si incontrano per la prima volta in treno dove la donna consola e affascina il futuro marito con una citazione poetica, ma sarà lo stesso Edward a confessare al figlio che, dopo anni, quella citazione gli appare diversa e priva di valore.

All’inizio del film vediamo Grace alle prese con la curatela di una raccolta poetica dal titolo “Sono già stato qui”; l’antologia, che rischia di rimanere un monologo interiore solipsistico di scarso interesse per altri, un modo per rifuggire dalla noia e dalla disperazione, diventa uno strumento di comunicazione e interazione solo dopo che Grace, uscita dalla sua crisi esistenziale e aiutata dal figlio, la trasforma in un portale accessibile a molti.

Edward scrive testi per Wikipedia e si rammarica che nella vita non sia possibile usare il visual editor per correggere o cambiare le storie come nell’enciclopedia web.

E troviamo ancora scrittura e parole nei piccoli fogli che Grace pone in luoghi strategici della casa nella speranza che il marito tornando li trovi e si innamori nuovamente di lei come avvenne nel loro primo incontro.

E’ un film tutto da gustare sapientemente, costruito su parallelismi interni e disseminato di elementi simbolici che il regista sparge nel testo in maniera solo apparentemente casuale. Si tratta di espedienti attivati sottovoce, appena accennati, per lo più mostrati senza il bisogno di raccontarli, con la funzione di stringere i personaggi nelle loro miserie rendendoli al contempo talmente umani da guidare lo spettatore a sospendere ogni giudizio.
E’ un  film da vedere più volte, su cui confrontarsi e discutere per scoprire le diverse emozioni che provoca negli spettatori e i diversi aspetti della narrazione  che persone diverse possono cogliere.
 A fronte di un titolo che tratta i danni derivanti dalla mancanza di un dialogo costruttivo, Nicholson costruisce un film dove esplora la comunicazione in tutti i suoi modi: quelli del silenzio, della parola, dei gesti, della vertigine, della paura e -in una forma o nell’altra- della rinascita attraverso il cambiamento.

Tags: Film, C.Schiavon


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